Neal Stephenson, nel romanzo cyberpunk Snow Crash (1992), coniava il termine metaverso, che stava ad indicare uno spazio tridimensionale all’interno del quale persone fisiche potevano muoversi ed interagire attraverso degli avatar personalizzati.
Il metaverso rappresenta oggi l’idea di un mondo parallelo, in cui blockchain e smart contracts, NFT, criptovalute e intelligenza artificiale consentono una fusione fra il mondo reale e quello virtuale. In tale contesto saranno dunque necessarie nuove soluzioni normative in termini di privacy, diritti di proprietà intellettuale ed industriale, ed anche di fisco. Un nuovo diritto per un nuovo mondo, in cui la prima domanda a cui rispondere sarà quali sono le fonti del diritto, laddove, secondo i sostenitori del code-based approach, in questo nuovo mondo virtuale la legge (degli Stati) non sarebbe la fonte primaria del diritto digitale. La “norma” di riferimento sarebbe piuttosto il code, cioè l’insieme dei software e degli hardware che regola il funzionamento del sistema.
Gli ordinamenti giuridici potrebbero allora, ad esempio, regolamentare le imprese attive nel metaverso per garantire che le regole di protezione dei consumatori siano recepite direttamente nel code. In definitiva, bisognerà far sì che il code aderisca alle regole giuridiche applicabili nel mondo fisico.
L’alternativa, certamente non auspicabile, è che il code assurga a ordinamento normativo prevalente, con attori privati capaci di privare gli utenti delle protezioni sviluppate dagli ordinamenti giuridici “tradizionali”.
Per tale motivo appare sempre più urgente sviluppare una nuova, specifica, legislazione, anche al fine di preservare quello che è uno dei più antichi poteri dello Stato: il potere fiscale.
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