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Il Cndcec, ai sensi del comma 2 dell’articolo 13 del Codice della Crisi d’impresa (CCI), ha, elaborato gli “indici” che “fanno ragionevolmente presumere la sussistenza di uno stato di crisi dell’impresa”, contenuti nel documento pubblicato il 20 ottobre 2019 posto all’esame del MiSe per l’approvazione.
Già si è detto della c.d. struttura ad albero degli indici e del fatto che il ricorso ai c.d. “indici di settore” si abbia solo una volta che:
Gli indici di settore sono stati elaborati nella prospettiva di evitare i falsi positivi, ossia situazioni in cui l’impresa non è in stato di crisi pur non rispettando i valori degli indici posti a presidio; per questa ragione, le soglie proposte per ogni indice e per il rispettivo settore sono piuttosto critiche, nel senso che il contemporaneo verificarsi dello “sfondamento” dei valori di allerta per tutti i 5 indici, costituisce obiettivamente un indicatore piuttosto forte dell’esistenza di una situazione di crisi dell’impresa.
Per questa ragione, l’attenzione ad altri sintomi della deve essere in ogni caso molto elevata, a prescindere dallo sfondamento dei 5 indici di settore.
Il primo degli indici di settore è quello di “sostenibilità degli oneri finanziari” che viene definito come rapporto fra:
Si tratta, di un indicatore di performance economica dell’impresa perché misura l’assorbimento del costo del capitale di debito dell’impresa nel volume delle vendite della stessa.
Qualora l’impresa, infatti, mostrasse un peso specifico degli oneri finanziari sui ricavi di periodo piuttosto elevato, ciò sarebbe sintomo di una difficoltà dell’impresa a disporre delle risorse per remunerare gli altri fattori della sua produzione (quindi, pagare i fornitori, i dipendenti, ecc.), a pagare le imposte, ecc..
Come pure, un’elevata incidenza potrebbe essere rappresentativa di una minata capacità di ripagare il debito contratto.
Da un punto di vista aziendalistico, la significatività di un simile indicatore sarebbe senza dubbio ben maggiore ove lo stesso fosse associato ad un altro indice, quello che misura il rapporto fra gli oneri finanziari di periodo e l’Ebitda realizzato dalla società.
In questo modo, infatti, si ha un’immediata visione di quale sia la capacità dell’impresa di generare, attraverso la gestione corrente, margini in grado di assorbire gli oneri finanziari e consentire di disporre di ulteriori flussi per finanziare investimenti e ripagare il debito.
È, infatti, chiaro che, laddove il rapporto fra i due suddetti valori (oneri finanziari ed Ebitda) fosse prossimo ad 1, ciò significherebbe che i flussi di cassa operativi generati dall’impresa sono di fatto tutti destinati a pagare gli oneri del debito finanziario, il che evidentemente manifesta una situazione di criticità sulla capacità di ripagare il capitale preso a prestito e finanziare la gestione corrente.
Il secondo indice di settore è rappresentato dalla “adeguatezza patrimoniale” che si determina come rapporto fra:
Si tratta, evidentemente, di un indicatore di performance patrimoniale che vuole misurare il grado di indipendenza patrimoniale della società, non solo avuto riguardo al capitale finanziario di debito, bensì anche al debito operativo più in generale.
Il terzo indice di settore è quello di “ritorno liquido dell’attivo” che viene definito come rapporto fra:
Si tratta di un indice atto a misurare il rendimento delle attività dell’impresa e la loro capacità di ritornare flussi di cassa.
il cash flow è determinato con il metodo indiretto, tenendo conto, a partire dal risultato economico del periodo, di tutti i costi e i ricavi non monetari, ivi inclusi perciò gli accantonamenti e gli utilizzi dei fondi del passivo.
L’utilizzo di dati storici, poi, dovrebbe opportunamente condurre a sterilizzare dal cash flow l’impatto di eventuali componenti straordinarie e non ricorrenti; infatti, tale indice è rappresentativo nella misura in cui esprime la capacità dell’impresa di generare flussi di cassa dalla propria gestione ordinaria.
Quanto invece alla grandezza da porre al denominatore del rapporto (l’attivo complessivo dello Stato patrimoniale) potrebbe essere forse più espressivo assumere il valore medio del periodo, piuttosto che un dato puntuale estemporaneo.
Il quarto indice di settore è quello di “liquidità”, il quale è espresso come rapporto fra:
Si tratta di un indice che misura l’equilibrio finanziario dell’impresa in un orizzonte di breve termine, in quanto vuole esprimere il grado di copertura delle passività a breve con attività a breve. Di norma, tale indice dovrebbe essere superiore allo zero.
Un altro indicatore, non contenuto nella lista del Cndcec, ma spesso utilizzato nella prassi aziendalistica, è il c.d. acid ratio (o indice di liquidità immediata) che misura il rapporto fra:
È evidente che valori molto bassi di tale indicatore potrebbero manifestare un sintomo di stress finanziario dell’impresa.
Il quinto e ultimo indice di settore è quello di “indebitamento previdenziale e tributario” ed è espresso dal rapporto fra:
Si tratta evidentemente di un indicatore particolarmente vicino ai più volte citati sintomi dovuti ai “reiterati e significativi” ritardi nei pagamenti verso i soggetti pubblici istituzionali.
I 5 indici di settore devono essere utilizzati contemporaneamente poiché un loro impiego individuale potrebbe fornire solo una visione parziale di sintomi di crisi dell’impresa.
Per questa ragione viene richiesto il superamento di tutti i 5 indici di settore per l’attivazione delle procedure previste dal Codice
Concludiamo, in questa nota, la disamina generale degli indici della crisi iniziata con i precedenti contributi, focalizzando l’attenzione sul secondo periodo del comma 2, dell’articolo 13, del Codice della Crisi, ai sensi del quale il Cndcec è chiamato ad elaborare indici specifici con riguardo a talune particolari tipologie di imprese.
Si tratta in particolare delle seguenti fattispecie: